CHRISTIANISMUS
Maria Maddalena e il codice da Vinci
Data: Sabato, 06 maggio 2006 @ 02:20:22 CEST
Argomento: Il codice da Vinci
di Andrea Nicolotti
Tutto il romanzo di Dan Brown è percorso da un tema ricorrente: quello del ruolo fondamentale del personaggio di Maria Maddalena, descritta come sposa di Cristo e madre della sua discendenza. Ma quali sono in realtà le notizie storiche attendibili su questo personaggio?
Sommario
Chi era la Maddalena?
La Maddalena era una meretrice?
La Maddalena era di stirpe reale?
Gesù era sposato?
Che valore storico hanno le notizie tratte dai vangeli gnostici?
Che rapporto intercorreva tra Gesù e la Maddalena secondo il vangelo di Filippo?
Compagna significa moglie?
La Maddalena ha avuto un figlio da Gesù?
Gesù affidò la sua Chiesa alla Maddalena?
Gesù era femminista?
Il Graal e la Maddalena
Dietro il Codice da Vinci
Chi era la Maddalena?
Maria Maddalena era il nome di una donna proveniente da Magdala, una città sul lato occidentale del lago di Genezaret. Essa nei Vangeli è menzionata come pia seguace di Gesù, dal quale era stata liberata da sette demoni[1]. Maria era presente sul calvario e poté assistere alla sepoltura del Maestro[2]; al mattino del primo giorno della settimana, recatasi al sepolcro, lo trovò vuoto, e secondo il racconto evangelico avrebbe avuto il privilegio di incontrare il Cristo risorto[3]. Sono queste le poche notizie che i testi del I secolo d.C. ci riportano su questo personaggio della cerchia di Gesù. Questa Maria apparteneva evidentemente a quel gruppo di donne che seguiva il Maestro e lo accompagnava durante le sue peregrinazioni; secondo la notizia di Luca, infatti, Gesù
se ne andava per le città e i villaggi predicando ed annunciando il regno di Dio. Vi erano con lui i Dodici e anche alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da infermità: Maria detta Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre. Esse li servivano con i loro averi[4].
Sembra che a nessuna donna siano stati affidati incarichi di predicazione, ma è indubbio che queste donne avessero un loro ruolo all'interno del gruppo dei seguaci di Gesù. Secondo Luca si trattava di incombenze più che altro di indole pratica, essendo loro responsabilità il mantenimento economico di Gesù e dei Dodici; è questo il senso dell’inciso “li servivano con i loro averi”[5].
Questo gruppo di donne che avevano seguito Gesù sin dalla Galilea per servirlo era presente alla crocifissione e osservava da lontano tutto ciò che accadeva: su ciò gli evangelisti Matteo, Marco e Luca sono concordi[6]. Sono pure donne quelle che il primo giorno della settimana si accorgono per prime che il sepolcro di Gesù è vuoto[7]. Dopo i racconti della risurrezione gli Atti degli apostoli, opera dell'evangelista Luca, ci rappresentano gli apostoli in preghiera a Gerusalemme “con le donne e Maria, la madre di Gesù”[8].
Al di là di queste poche notizie, null'altro ci è dato di sapere delle donne che seguivano Gesù e, in particolare, di Maria Maddalena.
Tintoretto, Santa Maria Maddalena, Pinacoteca Capitolina, Roma.
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[1] Luca 8,2; Marco 16,9.
[2] Matteo 27,55-61; Marco 15,40-47; Luca 23,49-55; Giovanni 19,25.
[3] Matteo 28,1-10; Marco 16,1-9; Luca 24,1-10; Giovanni 20,1-18.
[4] Luca 8,1-3.
[5] L’espressione potrebbe anche essere resa “li servivano [attingendo] dai loro averi”, per meglio rispettare l’originale greco (dihkÒnoun aÙto‹j ™k tîn ØparcÒntwn aÙta‹j).
[6] Matteo 27,55; Marco 15,40-41; Luca 23,49.
[7] Matteo 28; Marco 16; Luca 24; Giovanni 20.
[8] Atti 1,14.
La Maddalena era una meretrice?
Nel romanzo di Dan Brown lo storico Sir Leigh Teabing - rivolgendosi a Sophie Neveu ed indicandole il personaggio di Giovanni Evangelista dipinto nell'Ultima cena di Leonardo da Vinci - pronuncia queste parole:
«Quella donna, mia cara» rispose Teabing «è Maria Maddalena.» Sophie si voltò verso di lui. «La meretrice?» Teabing trasse un breve sospiro, come se la parola l'avesse offeso personalmente. «Maddalena non era niente del genere. Questo sgradevole malinteso deriva dalla campagna diffamatoria lanciata dalla Chiesa delle origini. La Chiesa doveva diffamare Maria Maddalena per nascondere il suo pericoloso segreto: il suo ruolo di Santo Graal» (p. 286).
Perché la Maddalena sarebbe una meretrice? Per rispondere a questa domanda occorre nuovamente ritornare alle testimonianze evangeliche.
L'evangelista Luca narra le vicende di una peccatrice - della quale non viene fatto il nome - la quale durante un banchetto ottenne la remissione dei propri peccati dopo aver bagnato di lacrime ed unto di olio profumato i piedi di Gesù, asciugandoli con i propri capelli (7,36-50). In tutti e quattro i Vangeli c'è poi una donna di nome Maria, nativa di Betania e sorella di Marta e di Lazzaro, che viene descritta come molto attenta agli insegnamenti del Maestro, la quale pochi giorni prima della passione unse il capo e i piedi di Gesù (Matteo 26,6-13; Marco 14,3-9; Luca 10,38-42; Giovanni 11,1-12,8).
Come si può vedere, Maria di Betania e la peccatrice potrebbero facilmente essere confuse, a motivo del gesto dell'unzione.
Maria Maddalena, poi, porta lo stesso nome di Maria di Betania; infine, il fatto che la Maddalena fosse stata liberata dai demòni ha indotto qualcuno a pensare che non si trattasse altro che della peccatrice anonima di cui parla Luca.
Dalla lettura dei dati evangelici, insomma, alcuni hanno ricavato l'esistenza di tre donne distinte (Maria Maddalena, Maria di Betania e la peccatrice anonima), altri di due, altri di una sola.
Ciò che sembra più difficile da giustificare è che Maria di Magdala e Maria di Betania sorella di Lazzaro siano da considerarsi la stessa persona, in quanto il nome della città e l'indicazione della parentela sarebbero stati adottati dagli evangelisti proprio per non confonderle; se le due Marie fossero la medesima persona, non si capirebbe perché Luca avrebbe adottato denominazioni diverse per identificarle, senza mai metterle in relazione tra loro.
Il fatto che Maria Maddalena fosse stata liberata da sette demoni può aver indotto a pensare che si trattasse della peccatrice; la possessione diabolica e la condizione di peccato, però, sono due cose ben diverse e mai assimilate nei Vangeli.
E come Luca nel suo Vangelo avrebbe potuto nominare queste due donne a breve distanza una dall'altra, senza sottolinearne l'identità? Forse lo fece per dissimularla, non volendo identificarla esplicitamente con la peccatrice, come sostengono i partigiani dell'identità delle due figure?
Quanto a Maria di Betania, può essere identificata con l'anonima peccatrice? È quanto hanno ritenuto molti commentatori specialmente nel passato, ritenendo che i due racconti di unzione non fossero altro che la descrizione di un unico avvenimento. È anche quanto sembrerebbe suggerire Giovanni quando, presentando per la prima volta la sorella di Lazzaro, dice che era colei "che aveva unto il signore e gli aveva asciugato i piedi con i propri capelli"[1]. Secondo alcuni, qui Giovanni si riferirebbe al gesto della peccatrice; chi ritiene che non si tratti della stessa persona pensa invece che l'evangelista non si stesse riferendo all'unzione della peccatrice avvenuta in Galilea ma a quella di Maria sorella di Lazzaro avvenuta a Betania, in Giudea. È vero che quest'ultima unzione nel Vangelo di Giovanni viene narrata solo più avanti; ma il fatto che l'evangelista usi due participi aoristi greci non sarebbe necessariamente indice di un rimando ad un fatto già narrato precedentemente (quello della peccatrice), ma potrebbe essere il richiamo ad un fatto avvenuto noto a tutti (quello di Maria di Betania), indipendentemente dalla sua posizione nel racconto evangelico.
Come si può vedere, la questione è abbastanza intricata; i critici moderni sono propensi a distinguere tre personaggi o, talvolta, ad ammetterne solo due[2]
Duccio di Buoninsegna, Le tre Marie alla tomba di Gesù, Museo dell'Opera del Duomo, Siena.
Ecco il motivo per cui qualcuno fu portato a considerare Maria Maddalena non solo come una donna che era stata posseduta da sette demoni, ma anche come una peccatrice, nel tentativo di dare un nome all’anonima donna del racconto evangelico. Il termine peccatrice (hamartōlos) è generico, ma considerarlo sinonimo di meretrice poteva essere un passo breve.
Una volta accertate queste oggettive difficoltà che nascono dalla diretta lettura dei testi, è storicamente accettabile affermare che l'identificazione tra le due donne sarebbe stato il frutto di una “campagna diffamatoria lanciata dalla Chiesa delle origini”?
In verità, la Chiesa delle origini non mostrò nessun particolare interesse per questa presunta svalutazione della figura della Maddalena; fu invece abbastanza concorde nel distinguere la peccatrice da Maria di Magdala, secondo quanto ci è testimoniato dagli scrittori ecclesiastici e dalle testimonianze liturgiche antiche.
Ma le difficoltà dei testi evangelici potevano trarre in inganno. Nella Chiesa latina ad un certo punto si ebbe la tendenza ad unificare i due personaggi, ma la prima testimonianza di questa tendenza non risale certo alla Chiesa delle origini. È infatti solo intorno al 590 che papa Gregorio Magno - nella basilica di San Clemente a Roma durante una sua omelia - ipotizzò quanto segue, mentre commentava il racconto della peccatrice dell'evangelista Luca:
Crediamo che questa donna che Luca chiama peccatrice e che Giovanni chiama Maria sia quella Maria dalla quale - afferma Marco - furono cacciati sette demoni[3].
L’unicità del personaggio è presentata come un'ipotesi personale, non come una certezza assodata. I sette demoni, secondo Gregorio, simboleggiano tutti i vizi; il numero sette, infatti, significa la pienezza. L’identificazione della peccatrice con Maria Maddalena fornisce lo spunto a Gregorio per esaltare il gesto della donna la quale, resasi conto del proprio stato di peccato, ottiene il perdono di Gesù. Il racconto si presta ad un'interpretazione mistica: il fariseo che si scandalizza della misericordia di Gesù è figura dell’ostinato popolo giudaico, mentre la peccatrice è immagine dei pagani che si convertono al cristianesimo.
Gregorio Magno in una miniatura
Non vi è quindi traccia, nell'arco di sei secoli di cristianesimo, di alcun tentativo di screditare la figura della Maddalena. La tardiva ipotesi gregoriana di una coincidenza tra Maria di Magdala e la peccatrice non può essere certamente descritta come un discredito: il fatto che essa possa essere stata una peccatrice prima della conversione, nulla toglie alla sua santità, che il medesimo pontefice descrive in questi termini:
Maria Maddalena che aveva condotto nella città una vita di peccato, amando la verità lavò con le lacrime le macchie delle colpe [...] Insensibile, prima, a motivo dei peccati, poi, spinta dall'amore, ardeva in cuor suo. Venne infatti al sepolcro e non trovando il corpo del Signore, pensò fosse stato portato via e così disse ai discepoli che, venuti per constatare, prestarono fede alle sue parole [...] Vediamo nell'atteggiamento di questa donna la grande forza dell'amore che agiva nella sua anima e la teneva presso il sepolcro anche dopo che i discepoli si erano allontanati [...] Avvenne perciò che poté vederlo lei sola che era rimasta per cercarlo, perché la virtù tipica dell'azione buona è la perseveranza [...] Maria ottenne talmente grazie al cospetto di Gesù che ne annunciò la risurrezione agli apostoli, a quelli cioè che ne sarebbero stati ufficialmente i nunzi[4].
Tutta la XXV omelia è una riflessione sulle virtù di Maria Maddalena; non si può certo attribuire a Gregorio, pertanto, una volontà di screditare davanti agli occhi dei cristiani colei che era stata privilegiata testimone della risurrezione e che aveva ottenuto grazia davanti al Signore.
La maggior parte degli autori latini medievali posteriori a Gregorio dipenderanno da lui su questo punto; fanno eccezione Pascasio Radberto, Bernardo e Nicola di Chiaravalle. Gli autori orientali, invece, mantennero sempre distinte le figure di Maria e della peccatrice[5].
Si deve a Jacques Lefèvre d'Étaples (noto come Faber Stapulensis, circa 1450-1536) il primo tentativo organico di rimettere in discussione il problema dell'identità della Maddalena e della peccatrice; questo insigne umanista e filosofo francese, di temperamento profondamente religioso, è diventato famoso per i suoi studi filologici e per una traduzione francese della Bibbia. Nel 1517 e nel 1519 pubblicò due saggi su Maria Maddalena tentando di provare che l'anonima peccatrice, Maria di Betania e Maria di Magdala erano tre persone differenti, innescando una polemica tra studiosi nota come «questione delle tre Marie»[6]. La sua ipotesi fu accolta, tra gli altri, dal famoso vescovo e teologo antiluterano Josse Clichtove (Jodocus Clichtovaeus)[7]. Tra i critici del d'Étaples vanno ricordati invece il canonico Marc de Grandval[8], il vescovo di Rochester John Fisher[9] e Noël Béda dell'Università di Parigi[10]. Nell’ambito della Riforma protestante, Lutero e Zwingli identificano le tre figure, mentre Calvino le separa[11].
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[1] Giovanni 11,2.
[2] Per una panoramica sulle argomentazioni degli esegeti, Joseph-Marie Lagrange, Jésus a-t-il été oint plusieurs fois et par plusieurs femmes?, in «Révue Biblique» IX (1912), pp. 504-532; Urbanus Holzmeister, S. Maria Magdalena estne una eademque cum peccatrice et Maria sorore Lazari?, in «Verbum Domini» XVI (1931), pp. 193-199.
[3] Homiliae in Evangelia, 33,1: “Hanc vero quam Lucas peccatricem mulierem, Ioannes Mariam nominat, illam esse Mariam credimus de qua Marcus septem daemonia eiecta fuisse testatur”.
[4] Homiliae in Evangelia, 25,1 e 10. Traduzione di Giuseppe Cremascoli.
[5] Come concludeva il gesuita Urbanus Holzmeister al termine di un approfondito e tuttora utilissimo studio sul tema, “la questione posta per sapere se esista una tradizione coerente per l'unità [delle donne] non è possibile risolverla in senso affermativo” (Die Magdalenenfrage in der kirchlichen Überlieferung, in «Zeitschrift für katholische Theologie» XLVI (1922), pp. 402-422 e 558-584). L'unificazione delle donne in un’unica figura, dunque, non fu mai una tradizione coerente.
[6] De Maria Magdalena et triduo Christi disceptatio, Parisiis, ex officina Henrici Stephani, 1517; De tribus et unica Magdalena disceptatio secunda, ivi, 1519. Sulla controversia si veda il saggio di A. Hufstader, Lefèvre d'Étaples and the Magdalen, in «Studies in the Renaissance» XVI (1969), pp. 31-61.
[7] Disceptationis de Magdalena defensio. Apologiae Marci Grandivallis illam improbare nitentis ex adverso respondens, Parisiis, ex officina H. Stephani, 1519.
[8] Ecclesiae catholicae non tres Magdalenas sed unicam colentis, apologia seu defensorium, Parisiis, in aedibus J. Badii, 1518.
[9] De Unica Magdalena libri tres, Parisiis, in aedibus J. Badii Ascensii, 1519. L’obiezione di Fischer aveva un suo valore: Faber, infatti, aveva sostenuto nel suo primo libro che due delle tre donne portavano il medesimo nome di Maria Maddalena. Nel secondo libro abbandonò questa ipotesi, ma non convinse Fischer, che preparò a sua volta una seconda replica: Confutatio secundae disceptationis per Jacobum Fabrum Stapulensem habitae in qua tribus foeminis partiri molitur quae totius ecclesiae consuetudo unicae tribuit Magdalenae, Parisiis, Badius, 1519.
[10] Scholastica declaratio sententiae et ritus ecclesiae de unica Magdalena, Parisiis, apud. Jod. Badium, 1519.
[11] I passi sono esaminati in J. F. Henderson, The Disappearance of the Feast of Mary Magdalene from the Anglican Liturgy, leggibile in linea. L’articolo cerca di spiegare perché la festa di Maria Maddalena fu depennata dall’edizione del 1552 dell’anglicano Book of Common Prayer.
La Maddalena era di stirpe reale?
Queste le affermazioni di Leigh Teabing:
Il Vangelo di Matteo ci dice che Gesù apparteneva alla Casa di Davide. Era un discendente di re Salomone, il re dei giudei. Sposandosi con una donna dell'importante Casa di Beniamino, Gesù fondeva due discendenze reali, creava una potente unione politica che avrebbe avuto il diritto di avanzare legittime rivendicazioni sul trono e ricostituire una dinastia di re, come al tempo di Salomone.» (pp. 291-292).
La notizia che Maria Maddalena appartenesse alla tribù di Beniamino è completamente inventata, e non compare in nessuna fonte antica, né canonica né apocrifa. D’altra parte non è certamente sufficiente appartenere ad una delle dodici tribù di Israele per essere di sangue reale: tutto il popolo di Israele, infatti, apparteneva ad una delle tribù. Paolo di Tarso, ad esempio, era proprio della tribù di Beniamino. Gesù, inoltre, durante tutta la sua vita non mostrò mai di volersi mettere a capo di un regno terrestre.
Gesù era sposato?
Il romanzo continua:
«Il matrimonio di Gesù e Maria Maddalena è storicamente documentato.» Frugò in mezzo ai volumi. «Inoltre, Gesù come uomo sposato ha infinitamente più senso che come scapolo.» «Perché?» chiese Sophie. «Perché Gesù era ebreo» rispose Langdon, mentre Teabing era indaffa-rato con i suoi libri «e il costume dell'epoca imponeva virtualmente a un ebreo di essere sposato. Secondo i costumi ebraici, il celibato era condannato e ogni padre aveva l'obbligo di trovare per il figlio una moglie adatta. Se Gesù non fosse stato sposato, almeno uno dei vangeli della Bibbia avrebbe accennato alla cosa e avrebbe fornito una spiegazione di quella innaturale condizione di celibato.» (pp. 287-288).
La dimostrazione addotta è molto debole e basata su un argumentum e silentio: se Gesù non fosse stato sposato, ciò sarebbe scritto nei Vangeli. Lo stesso argomento può essere più ragionevolmente volto all'inverso: se Gesù fosse stato sposato, ciò sarebbe scritto nei Vangeli. Sarebbe alquanto strano immaginare che tutti i testi evangelici possano aver taciuto su una eventuale moglie di Gesù, quando essi stessi si dilungano a parlare di suo padre, di sua madre, dei suoi parenti e dei suoi seguaci. Inoltre ogni particolare della vita del Maestro è, agli occhi degli evangelisti, un modello da imitare; come è possibile pensare che essi abbiano potuto tralasciare questo efficace esempio di una sana vita matrimoniale?
Era certamente nota anche in Palestina l'esistenza di saggi celibi provenienti dal mondo greco. Ma è vero che il celibato era contrario al costume ebraico dell'epoca e veniva unanimemente condannato? Davvero tutti condividevano l’idea di rabbi Eliezer ben Ircano, il quale tra II e III sec. d.C. arrivò ad affermare che “colui che rifiuta di procreare è simile a un omicida”?[1] Le fonti non ci permettono di affermarlo. Il gruppo degli Esseni, ad esempio, teneva in onore e spesso osservava rigorosamente il celibato. Lo scrittore romano Plinio il Vecchio descrive gli abitanti di Qumran come un popolo che “non ha alcuna donna e ha rinunciato all'amore [...] un popolo eterno nel quale nessuno nasce”[2]. Lo storico giudeo Giuseppe Flavio afferma che “presso di loro il matrimonio è in dispregio”, anche se questo non significa che essi condannassero in assoluto il matrimonio altrui: essi infatti “non aboliscono il matrimonio e la discendenza che ne deriva”[3]. Anche Filone di Alessandria conferma che “nessuno tra gli Esseni prende moglie”[4], estendendo questa abitudine anche alle vergini dei Terapeuti che risiedevano nei pressi di Alessandria[5]. Altri predicatori itineranti, tra cui Giovanni Battista, erano privi di moglie.
Ciò non vuole significare che Gesù appartenesse necessariamente a questo o quest'altro gruppo giudaico, ma è segno che il celibato non era una condizione inconciliabile con il giudaismo del suo tempo. Anche Paolo, ebreo divenuto seguace di Gesù, era celibe, tesseva le lodi della propria condizione e invitava gli altri ad imitarlo: “Ai celibi e alle vedove dico che è cosa buona per loro rimanere come sono io” (1 Corinzi 7,8). Rabbi Simeone ben Azzai, quasi contemporaneo di Gesù, giustificava il suo celibato in questo modo: “La mia anima è innamorata della Torah. Altri penseranno a far andare avanti il mondo”[6]. La letteratura rabbinica, inoltre, accosta spesso il tema della continenza con quello dell'esercizio della profezia; per questo Mosè aveva deciso di non abitare più con la moglie, dopo aver ricevuto la chiamata da parte di Dio[7]. Questo rapporto tra purezza, continenza e profezia può aiutare a comprendere i motivi della volontaria scelta del celibato da parte di Gesù.
Non è escluso che Gesù sia stato criticato da alcuni suoi contemporanei per questa sua scelta; forse egli rispondeva proprio a queste critiche quando pronunciava le seguenti parole: “Vi sono eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli” (Matteo 19,12).
L’idea che Gesù fosse sposato con la Maddalena, diffusa negli anni ’70 del secolo scorso[8] e ripresa, con ancor minor senso critico, dagli autori a cui Dan Brown si è ispirato, risulta in definitiva tutt’altro che “storicamente documentata”.
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[1] Yebamot babilonese, 63b.
[2] Naturalis Historia, V,73: “[..] sine ulla femina, omni venere abdicata [...] gens aeterna est, in qua nemo nascitur”.
[3] Bellum iudaicum, II,120-121: g£mou mn par' aÙto‹j Øperoy…a [...] tÕn mn g£mon kaˆ t¾n ™x aÙtoà diadoc¾n oÙk ¢nairoàntej. È probabile però che vi fossero anche Esseni sposati (Bellum iudaicum, II,160).
[4] Apologia, in Eusebius, Praeparatio evangelica, VIII 11,14: 'Essa…wn g¦r oÙdeˆj ¥getai guna‹ka.
[5] De vita contemplativa, 68: “Partecipavano anche le donne, la maggior parte delle quali erano vergini mature”.
[6] Yebamot babilonese, 63b.
[7] Shabbat babilonese, 87a; Lo conferma anche Filone, secondo il quale Mosè si asteneva dal rapporto con le donne (De vita Moysis, II,68-69)
[8] Si ricordi il saggio di William E. Phipps, Was Jesus Married? The Distortion of Sexuality in the Christian Tradition, New York, Harper & Row, 1970.
Che valore storico hanno le notizie tratte dai Vangeli gnostici?
Nel racconto di Dan Brown, ulteriore prova del matrimonio di Gesù è tratta dai Vangeli apocrifi:
Teabing finalmente trovò un enorme libro e lo tirò verso di sé. L'edizione, rilegata in cuoio, era grossa come un atlante. La copertina diceva: I vangeli gnostici. Teabing lo aprì e Langdon e Sophie si avvicinarono. Il libro conteneva fotografie di brani ingranditi di antichi documenti: pezzi di papiro con il testo scritto a mano. Sophie non riconobbe la lingua, ma sulla pagina di fronte c'era la traduzione. «Queste sono fotocopie dei Rotoli di Nag Hammadi e del Mar Morto, a cui ho accennato prima» spiegò Teabing. «I più antichi documenti cristiani. Purtroppo non concordano molto con i vangeli della Bibbia.» (p. 288)
Le inesattezze sono molte. Altri errori si ritrovano qualche pagina prima:
Alcuni dei vangeli che Costantino cercò di cancellare riuscirono a sopravvivere. I Rotoli del Mar Morto furono trovati verso il 1950 in una caverna nei pressi di Qumran, nel deserto della Giudea. E abbiamo anche i Rotoli copti scoperti nel 1945 a Nag Hammadi. Oltre a raccontare la vera storia del Graal, questi documenti parlano del ministero di Cristo in termini profondamente umani. Naturalmente, il Vaticano, per non smentire la sua tradizione di disinformazione, ha cercato di impedire la diffusione di questi testi. Come ci si poteva aspettare. I rotoli evidenziano i falsi e le divergenze storiche, confermando così che la Bibbia moderna è stata scelta e corretta da uomini che seguivano un ordine del giorno politico, per promuovere la divinità dell'uomo Gesù Cristo e usare la sua influenza per consolidare la base del proprio potere. (p. 275).
Si parla di rotoli di Nag Hammadi, ma in verità essi sono codici. Non è una differenza da poco: i primi venivano conservati arrotolati e andavano svolti durante la lettura, mentre gli ultimi avevano forma di libro ed erano racchiusi tra copertine di cuoio.
Rotolo di Qumran
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Codici di Nag Hammadi
I rotoli del Mar Morto, peraltro, non sono di papiro, bensì di pelle, scritta sul lato del pelo: evidentemente Dan Brown non ha mai neppure visto una fotografia né dei rotoli di Qumran né dei codici di Nag Hammadi. Si tratta di fotografie, peraltro, non di fotocopie; i manoscritti non sono carta d’ufficio che si passa tranquillamente in una fotocopiatrice.
Inoltre, i manoscritti di Qumran non c'entrano assolutamente nulla con i Vangeli gnostici, né con alcun genere di Vangeli: sono testi ebraici, aramaici ed in piccola misura greci, nessuno dei quali ha una forma che assomigli anche solo vagamente ad un Vangelo. Non solo: nessuno dei testi di Qumran può essere considerato cristiano. Nei manoscritti di Qumran, insomma, non si parla mai né di Gesù né di alcun personaggio della sua cerchia[1].
In nessuna delle due raccolte, ovviamente, si parla del Graal, che è una invenzione medievale. Né Costantino né il Vaticano hanno nulla a che fare con l’insabbiamento di Vangeli. E, infine, l’idea che questi testi “parlino del ministero di Cristo in termini profondamente umani” è altrettanto errata: il Gesù degli gnostici ha quasi del tutto perso ogni carattere di umanità, e tale caratteristica diventa ancor più evidente se lo si mette a confronto con il Gesù assai più umano dei Vangeli canonici.
I codici - non rotoli - di Nag Hammadi, comunque, contengono Vangeli gnostici. Ma trattasi davvero dei più antichi documenti cristiani? In realtà tutti questi testi sono meno antichi di qualunque scritto contenuto nella Bibbia. Il nuovo Testamento, infatti, contiene testi composti nella seconda metà del secolo I; la prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi è stata scritta intorno all’anno 50, mentre i testi più tardivi (probabilmente l’Apocalisse o la seconda lettera di Pietro) sono datati alla fine del medesimo secolo[2]. Tra i Vangeli gnostici di Nag Hammadi quelli più antichi non possono essere fatti risalire più in là del II o III secolo (anche se la datazione del Vangelo di Tommaso è discussa) mentre tutti gli altri sono più tardivi. La maggioranza di essi non ci è pervenuta nella sua redazione originaria, ma solo attraverso una traduzione in lingua copta che talora è stata portata a termine nei secoli successivi.
Così continua il romanzo:
Sfogliando le pagine verso la metà del libro, Teabing indicò un brano. «Il Vangelo di Filippo è sempre un ottimo punto per iniziare.»
Il Vangelo di Filippo è contenuto nel II codice di Nag Hammadi. Il codice è scritto in copto saidico ed è datato tra il 330 ed il 340, ragion per cui il testo deve essere precedente a questa data. Probabilmente una parte del materiale può risalire al II secolo, ma il tutto pare aver subito una definitiva sistemazione più tardi, per opera di un compilatore, nella seconda metà del III secolo[3]. Nella sua forma attuale il testo non assomiglia per nulla a un Vangelo, ma è una antologia priva di un ordine evidente, una raccolta di passi estratti da sermoni, catechesi, trattati o epistole degli gnostici seguaci di Valentino[4], i quali dall'Egitto avrebbero raggiunto la Siria, forse Antiochia, probabile regione di origine di questo scritto. Essendo posteriore al Nuovo Testamento, questo testo allude ad esso abbastanza spesso, e ne cita esplicitamente una dozzina di passi.
Prima di commentarne il testo, è opportuno dare qualche indicazione sui caratteri generali dello gnosticismo, in particolare quello valentiniano professato dal Vangelo di Filippo[5]. Esso si caratterizza per un infinito disprezzo del mondo creato, descritto come una prigione in cui gli uomini - che conservano nel loro profondo una traccia della luce celeste - sono costretti a vivere. Il creatore del mondo non sarebbe stato l'unico Dio onnipotente dei cristiani, ma un secondo Dio, detto demiurgo, invidioso dell'uomo; il demiurgo è spesso identificato con il Dio dell'Antico Testamento, parte della Bibbia che per questo motivo viene rigettata come falsa e deviante. Di qui ne derivano un'assoluta condanna del corpo e della carne umana, viste come prigioni dalle quali occorre fuggire, e spesso un rifiuto della riproduzione ed anche della sessualità, intesa come impurità.
Proprio perché la carne è impura, gli gnostici generalmente rifiutano l'idea della nascita di Cristo da una donna e dipingono Gesù come uomo apparente, non dotato di vero corpo carnale (docetismo). Conseguentemente, anche la sua passione sarebbe stata solamente apparente, una beffa messa in scena a discapito del demiurgo e dei suoi arconti. Quando invece si ammette una qualche dimensione materiale in lui, essa è considerata puramente esteriore, un involucro della sua reale consistenza psichica o spirituale, e fondamentalmente estranea alla sua vera natura.
Secondo gli gnostici la salvezza non è per tutti, ma è riservata a quegli eletti che tramite la conoscenza (gnosi) sono riusciti a riconoscere e perseguire la scintilla di divinità che sta in loro; questi eletti, stranieri in questo mondo, sarebbero i veri interpreti dell’autentico messaggio di Gesù, trasmesso segretamente a qualche personaggio privilegiato della sua cerchia (Tommaso, Filippo, Maria Maddalena o Giacomo). Ed ecco il motivo per cui questi scritti di tradizione gnostica sono stati attribuiti a questi personaggi, che - a differenza di quanto avviene nei quattro Vangeli canonici - sarebbero stati i destinatari di una rivelazione privata e segreta.
Il Vangelo di Filippo è una fonte interessantissima per conoscere il pensiero gnostico antico; non è certamente una fonte dalla quale trarre insegnamenti sulla persona e sull'insegnamento di Gesù. Gesù era un predicatore ebreo vissuto in Palestina nel primo secolo, e la sua vita e il suo messaggio non hanno nulla in comune con il pensiero gnostico dell'autore di questo Vangelo attribuito a Filippo. Nessuno storico serio pretenderebbe di poter presentare questo Vangelo come una fonte storicamente attendibile sulla vita di Gesù.
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[1] I manoscritti di Qumran sono tutti tradotti in italiano: F. García Martínez - C. Martone, Testi di Qumràn, Brescia, Paideia, 1996; L. Moraldi, I manoscritti di Qumràn, Torino, Utet, 19862. Per una introduzione sul loro contenuto e sul loro ambiente, Julio Trebolle Barrera - Florentino García Martínez, Gli uomini di Qumràn, Brescia, Paideia, 1996; James C. Vanderkam, Manoscritti del Mar Morto, Roma, Città Nuova, 1995; Alberto J. Soggin, I manoscritti del Mar Morto, Roma, Newton Compton, 19942; Joseph. A. Fitzmyer, Qumràn. Le domande e le risposte essenziali sui Manoscritti del Mar Morto, Brescia, Queriniana, 1994. In rete, una mia breve introduzione.
[2] È quanto si può ricavare dalla consultazione di qualunque manuale; ad esempio A. Wikenhauser - J. Schmid, Introduzione al Nuovo Testamento, Brescia, Paideia, 19812; R. E. Brown, Introduzione al Nuovo Testamento, Brescia, Queriniana, 2001; Daniel Marguerat (a cura di), Introduzione al Nuovo Testamento. Storia, redazione, teologia, Torino, Claudiana, 2004. In rete, si vedano alcune nostre pagine.
[3] Per un bilancio degli studi aggiornato alla metà degli anni ’80, cfr. G. Sfameni Gasparro, Il Vangelo secondo Filippo: rassegna degli studi e proposte di interpretazione, in «Aufstieg und Niedergang der römischen Welt» II.25.5 (1988), pp. 4107-4166. Per gli anni successivi, vedasi la Bibliographia gnostica di David M. Scholer.
[4] Valentino nacque sul delta del Nilo verso l'anno 100 e studiò ad Alessandria. Giunto a Roma verso il 140 cercò di diventare vescovo della città, ma non gli riuscì, probabilmente a causa delle sue idee eterodosse. Abbandonò dunque la città tra il 154 e il 165 e probabilmente si ritirò a Cipro.
[5] Sul pensiero gnostico, cfr. Giovanni Filoramo, L'attesa della fine. Storia della gnosi, Bari, Laterza, 1983; Madeleine Scopello, Gli gnostici, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1993; Kurt Rudolph, La gnosi. Natura e storia di una religione tardoantica, Brescia, Paideia, 2000.
Che rapporto intercorreva tra Gesù e la Maddalena, secondo il Vangelo di Filippo?
Alla luce della precedente necessaria chiarificazione, si può prendere in esame il brano del Vangelo di Filippo citato nel Codice Da Vinci[1]:
E la compagna del Salvatore è Maria Maddalena. Cristo la amava più di tutti gli altri discepoli e soleva spesso baciarla sulla bocca. Gli altri discepoli ne furono offesi ed espressero disapprovazione. Gli dissero: «Perché la ami più di tutti noi?».
Anzitutto, una precisazione. Questo detto del Vangelo di Filippo (NH II,63,30-64,5) ci è pervenuto assai malamente, in quanto le pagine del codice, purtroppo, non sono integre, ma presentano delle rotture sull’alto e sul fondo. Il detto incomincia proprio tra la fine del foglio 63 e l’inizio del foglio 64.
Vangelo di Filippo, foglio 63 (particolare)
Vangelo di Filippo, foglio 63 (trascrizione – in grigio, ipotesi sulle le parti mancanti)
Vangelo di Filippo, foglio 63 (particolare)
Vangelo di Filippo, foglio 63 (trascrizione – in grigio, ipotesi sulle le parti mancanti)
Eccone la traduzione interlineare :
La Sofia che è chiamata « la sterile », ella è la madre degli angeli. E la compagna
di... Maria Maddalena... amava... più dei discepoli... salutare lei sulla sua... volte.
Il resto... lui... gli dissero: « Perché tu ami lei più di tutti noi? » Egli rispose,
il salvatore, disse loro {disse loro}[2] : « Perché io non amo voi come lei? »
Gli editori si sono sforzati di colmare le lacune in vari modi. Quello che è chiaro è che la Maddalena è detta “compagna” di Gesù, che egli la amava più di tutti i discepoli e che la salutava in qualche modo. I restanti gli chiedono conto di quel suo atteggiamento, ed egli risponde loro con un'altra domanda.
Sul senso dell'espressione “compagna” ritornerò dopo. Ora sarà sufficiente notare che il verbo che indica l'azione di Gesù è il greco aspazomai, che significa principalmente salutare[3]. Questo verbo indica l’atto di accogliere qualcuno affettuosamente o con gioia, e può anche essere reso dare il benvenuto, salutare, e quindi, a seconda delle occasioni, abbracciare e anche baciare. Certe volte il modo di salutare deve essere esplicitato; quando Paolo manda i suoi saluti al termine della sua prima lettera ai Corinzi, dice: “Vi salutano i fratelli tutti. Salutatevi a vicenda con il bacio santo”. In questo caso il saluto consiste in un bacio: ma proprio perché il verbo aspazomai non è sufficiente a farlo comprendere, Paolo deve specificarlo.
Per quanto concerne il Vangelo di Filippo, nella frase “salutare lei sulla sua” la preposizione
che precede il pronome “suo” significa verso, a, da, per, a motivo di, allo scopo di, e anche sopra; peraltro, la preposizione assume significati diversi a seconda del verbo con cui è combinata, ragion per cui l’espressione non necessariamente va resa con baciare su qualcosa, ma va contestualizzata. Il fatto che il sostantivo sia però perduto, rende difficile la contestualizzazione. Non è scorretto immaginare che nella lacuna fosse contenuta la parola copta
cioè bocca, e che quindi tutto vada restituito
cioè baciare sulla sua bocca; ma la parola bocca non compare, e qualcuno ha anche ipotizzato qualcos’altro:
Piedi
Guancia
Fronte
eccetera. Insomma, sia il valore da dare al verbo aspazomai sia la parola mancante sono assai incerti. Per questo motivo l’ultima edizione del testo copto riporta diverse possibili ricostruzioni in nota, ma rinuncia ad integrare e tradurre l’espressione, e riguardo al verbo osserva: “Baciare o salutare. Sebbene baciare possa essere corretto, la costruzione copta qui ritrovata non è normalmente adoperata in questo senso”[4].
Ora, qual è il motivo per cui diverse traduzioni rendono con “baciava sulla sua bocca”? È perché nel medesimo Vangelo di Filippo (II,58,33-59,6) si trova questa sentenza:
...da lui dalla bocca... il Logos che esce di lì; sarebbe stato nutrito dalla bocca e sarebbe diventato perfetto. I perfetti per mezzo di un bacio sono concepiti e nascono. Per questo noi stessi siamo spinti a baciarci reciprocamente; noi riceviamo concepimento dalla grazia che è in noi, reciprocamente.
Ecco che molti editori hanno pensato di poter attribuire a Gesù il gesto qui descritto. Ma il bacio reciproco sulla bocca, come si può vedere, non è segno di amore carnale, ma è un bacio rituale che gli gnostici si scambiavano tra loro. “Si ritrova in diversi testi, ad esempio in quelli ermetici e nel Vangelo di Filippo, un riferimento al bacio rituale quale espressione della comunione, della fratellanza e della certezza della redenzione degli eletti”[5]. I Valentiniani erano gli gnostici meno ostili all'idea del matrimonio, ma ci tenevano a differenziare il matrimonio carnale inteso come semplice unione di corpi e quindi impuro, da quello spirituale, che aveva come scopo l'ingresso nella pienezza della divinità; pare che questa unione mistica fosse realizzata mediante il sacramento della camera nuziale, culminante col rito del bacio, una sorta di rito nuziale a carattere iniziatico[6].
Questo è il motivo per cui molti editori hanno pensato di poter integrare il testo mancante nel passo sopra esaminato richiamando questo gesto simbolico del bacio, che Gesù e la Maddalena avrebbero praticato. Anche se il testo avesse parlato di un bacio - cosa che al momento è impossibile sostenere con certezza - il testo andrebbe interpretato alla luce di questo particolare significato che il bacio rituale portava con sé. Ecco perché gli altri discepoli domandano a Gesù “Perché tu ami lei più di tutti noi?”; è evidente che si tratta di una differenza di intensità in un amore non carnale, o saremmo costretti a pensare che tutti i discepoli desiderassero essere amanti o consorti di Gesù, come o più di Maria.
D’altra parte in altri due testi di Nag Hammadi, la prima e la seconda Apocalisse di Giacomo, Gesù bacia sulla bocca l’apostolo; ciò dimostra che il bacio sulla bocca è inteso come segno di stretta amicizia e familiarità, non di amore carnale[7]. Nel Vangelo di Maria Maddalena si ritrova il medesimo gesto rivolto ai discepoli di Gesù, espresso dal medesimo verbo aspazomai: “Allora Maria, levandosi, li salutò oppure li baciò tutti” (fol. 9).
A questo punto occorrono ulteriori precisazioni sull'origine del mondo secondo lo gnosticismo valentiniano del Vangelo di Filippo. Dal Dio buono ed assolutamente trascendente sono emanate numerose entità o eoni[8]. Questi eoni, maschili e femminili, si sono uniti tra loro a formare delle coppie (dette sigizie), creando unici esseri bisessuati, e generando a loro volta altri eoni. Tutto risulta ordinato nel divino pleroma (in greco “pienezza”) secondo una gerarchia decrescente. L’ultimo (il trentesimo) di questi eoni è Sofia; per aver voluto generare senza unirsi in coppia con un eone maschile, essa diede origine al mondo materiale e quindi al male. Per ristabilire l'unità del pleroma, il posto abbandonato dalla Sofia decaduta fu preso dalla coppia Cristo-Spirito Santo (un maschio e una femmina). La figura del Gesù terreno non ha altro scopo se non quello di riportare nel pleroma tutte quelle scintille di divinità che si erano perdute nel mondo a causa del comportamento di Sofia; e il ritorno si realizza solamente in coppia, come avviene con le sigizie del pleroma stesso.
Questa è la teologia fortemente gnostica in cui va collocato il brano del Vangelo di Filippo. L’unione tra il Gesù terreno e la Maddalena non è altro che la rappresentazione della ricostituzione di una sigizia. Tutto il Vangelo è percorso da questo dualismo e da questo costante riferimento alle coppie. Secondo il Vangelo di Filippo i Cristi sono tre, e ciascuno di essi ha una compagna femminile: se l’eone Cristo celeste è accoppiato con lo Spirito Santo, e il Salvatore (Soter) è accoppiato con Sofia, è naturale che anche il Cristo terreno avesse una compagnia femminile, la Maddalena.
Ecco perché prima di parlare del rapporto tra Gesù e la Maddalena si ha questa frase: “La Sofia che è chiamata «la sterile», ella è la madre degli angeli”. Gli angeli sono i pianeti e le costellazioni. “A Sofia decaduta, che concepì senza il proprio compagno, fa capo il mondo materiale, una specie d'aborto. Perciò è detta sterile. Maria Maddalena rappresenta invece per la gnosi, la quale ne fa compagna del Cristo terreno, il prototipo dell'unione perfetta tra Sofia celeste e il compagno, l'immagine e il suo angelo”[9].
Nessun normale matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena, dunque, ma un congiungimento spirituale per restaurare il pleroma divino che evoca l'immagine delle sigizie degli eoni, immagine della compiutezza e della totalità raggiunte dallo gnostico.
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[1] Uno studio complessivo ed equilibrato sulla figura della Maddalena nella letteratura gnostica e manichea è quello di Antti Marjanen, The Woman Jesus Loved. Mary Magdalene in the Nag Hammadi Library & Related Documents, Leiden, Brill, 1996. Si occupa della Maddalena in tutte le fonti dei primi tre secoli Erika Mohri, Maria Magdalena. Frauenbilder in Evangelientexten des 1. bis 3. Jahrhunderts, Marburg, Elwert, 2000. Di stampo assai divulgativo è Esther de Boer, Maria Maddalena. Otre il mito alla ricerca della sua vera identità , Torino, Claudiana, 2000. Negli ultimi anni le pubblicazioni sulla Maddalena si sono moltiplicate, ma la maggioranza di esse di esse non può essere considerata scientifica.
[2] Dittografia: per errore lo scriba ha ripetuto per due volte il brano contenuto tra le parentesi graffe.
[3] Il copto è una lingua che ha la caratteristica di poter adoperare qualunque parola greca al proprio interno. Ciò ricorda lontanamente ciò che noi facciamo quando usiamo parole straniere all'interno di una frase italiana (ad esempio: “Questo week end sono stato a fare un pic nic in campagna”).
[4] Nag Hammadi Codex II,2-7, edited by Bentley Layton, Leiden, Brill, 1989, vol. I, p. 169.
[5] K. Rudolph, La gnosi. Natura e storia di una religione tardoantica, Brescia, Paideia, 2000, p. 314.
[6] Sono infatti cinque le cerimonie desunte dal Vangelo di Filippo: battesimo, unzione, eucaristia, redenzione e camera nuziale.
[7] I Apocalisse di Giacomo, III,1: “Egli cessò la preghiera e lo abbracciò. Baciandogli la bocca, disse: Rabbì, ti ho ritrovato!”; II Apocalisse di Giacomo, IV,3: “Quindi mi baciò sulla bocca e mi abbracciò dicendo: Mio diletto, ecco che ti rivelerò ciò che i cieli non hanno saputo”.
[8] Tra i nomi degli eoni si ricordino Intelligenza, Verità, Logos, Vita, Uomo, Chiesa, etc.
[9] M. Erbetta, Gli Apocrifi del Nuovo Testamento, vol. I/1, Casale, Marietti, 1975, p. 229, nota 55.
Compagna significa moglie?
Il romanzo continua così:
Queste parole sorpresero Sophie, ma non le parvero decisive. «Non parla di matrimonio.» «Au contraire.» Teabing sorrise e le indicò la prima riga. «Come ogni esperto di aramaico potrà spiegarle, la parola "compagna", all'epoca, significava letteralmente "moglie".»
Questa argomentazione è completamente falsa. Il Vangelo di Filippo fu scritto in greco, anche se di esso ci è pervenuta solo la traduzione copta (cioè egiziana). Ma, come ho già detto, il copto contiene moltissime parole greche; nel caso di testi tradotti dal greco in copto, queste parole greche sono probabilmente le parole greche che comparivano nell’originale e che tali sono rimaste, immutate; è proprio il caso della parola compagna, cioè koinōnos. L’aramaico, cioè la lingua parlata in Palestina al tempo di Gesù, non c'entra assolutamente nulla; il greco o il copto stanno all’aramaico come l'italiano sta al russo.
Koinōnos è colui che prende parte insieme o condivide qualche cosa, il partecipe, il compartecipe, il compagno e qualche volta anche il congiunto. Ma questa parola non significa letteralmente né marito né moglie. E il termine ad esso associato, cioè koinōnia, significa partecipazione, compagnia, rapporto, affinità, unione, associazione, e per i cristiani in particolare unione, fratellanza.
Nel Nuovo Testamento il termine koinōnos è usato spesso. Giacomo e Giovanni erano compagni di lavoro di Simone (Luca 5,10); coloro che sacrificano ai dèmoni sono detti loro colleghi (1 Corinzi 10,20) e chi mangia la carne dei sacrifici è partecipe dell’altare (Ivi, 10,18). Si può essere partecipi della sofferenze e della consolazione (2 Corinzi 1,7) o della gloria divina (1 Pietro 5,1), oppure associati a qualcuno nel versare il sangue di qualcuno (Matteo 23,30). Talora, infine, il termine è semplicemente sinonimo di amico, socio (2 Corinzi 8,23; Filemone 1,17).
Di per sé, ciò non significa che nel Vangelo di Filippo koinōnos debba essere inteso per forza in un senso che escluda del tutto una relazione particolare tra due individui (relazione che comunque andrà poi interpretata alla luce del contesto gnostico in cui è descritta). È però opportuno notare che in tutti i passaggi in cui si parla chiaramente di una consorte di qualcuno, il testo del Vangelo di Filippo adopera un altro termine: è il copto
che significa appunto donna o moglie[1].
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[1] Cfr. II, 65,20; 70,19; 76,7; 82,1. Basterà un esempio dove compare il termine citato: “La moglie si unisce con suo marito sul letto nuziale” (II,70,19)
La Maddalena ha avuto un figlio da Gesù?
Il romanzo continua:
«Assistiamo qui» dichiarò Teabing «alla più grande opera di insabbiamento della storia. Non soltanto Gesù era marito, ma anche padre. Mia cara, Maria Maddalena era il Santo Vaso, il Calice contenente il sangue reale di Gesù Cristo. Era il ventre che portava la discendenza, la vite da cui è nato il frutto sacro!» (p. 292).
Abbiamo già visto che Gesù non era marito di nessuno. Abbiamo visto come vanno letti i passi che si riferiscono ai rapporti tra il Gesù gnostico e la Maddalena. Soprattutto, abbiamo visto qual è l’ambiente culturale in cui i Vangeli gnostici si sono sviluppati. L’idea che Gesù volesse unirsi ad una donna per procurarsi una discendenza carnale è in totale contrasto con tutta l’ideologia gnostica. Se il mondo terreno è considerato come un errore, una degenerazione, una zavorra di cui liberarsi, difficilmente si può immaginare che un vangelo gnostico favorisca l’idea di una continuazione terrena della discendenza di Gesù. Lo scopo dello gnostico è ritornare nel pleroma celeste, non perpetuare all’infinito una discendenza di Gesù ed una chiesa terrena.
Peraltro, nessuna fonte, né canonica né apocrifa, né ortodossa né gnostica, parla di un figlio di Gesù e della Maddalena.
Gesù affidò la sua Chiesa alla Maddalena?
Secondo il romanzo, c’è un passo del Vangelo apocrifo di Maria che lo dimostrerebbe:
E Pietro disse: «Il Salvatore ha davvero parlato con una donna senza che noi lo sapessimo? Dobbiamo tutti girarci dall'altra parte e ascoltare lei? Ha preferito lei a noi?». E Levi rispose: «Pietro, tu sei sempre stato facile alla collera. Ora ti vedo lottare contro la donna come un avversario. Se il Salvatore l'ha resa meritevole, chi sei invero tu per rifiutarla? Certo, il Salvatore la conosce bene. Per questo ha amato lei più di noi».
«La donna di cui parlano» spiegò Teabing «è Maria Maddalena. Pietro è geloso di lei.» «Perché Gesù preferiva Maria?» «Non solo per questo. C'era in gioco ben più dell'affetto. A questo punto dei vangeli, Gesù sospetta che presto sarà arrestato e crocifisso. Perciò dà istruzioni a Maria Maddalena su come guidare la Chiesa dopo la sua morte. Di conseguenza, Pietro manifestò la sua contrarietà a rimanere in secondo piano dietro una donna. Ho l'impressione che Pietro fosse alquanto sessista.» Sophie cercava di seguire le sue parole. «Ma è san Pietro, la pietra su cui Gesù fondò la sua Chiesa.» «Proprio lui, tranne un particolare. Secondo questi vangeli non modificati, non era Pietro la persona che Cristo incaricò di fondare la sua Chiesa. Incaricò Maria Maddalena.» (p. 290).
Il brano sopra riprodotto è la fusione di due diversi paragrafi (16 e 18) del Vangelo di Maria. Si tratta di un vangelo gnostico del II secolo, che però non fa parte dei codici di Nag Hammadi - e tanto meno dei manoscritti di Qumran; esso è contenuto parzialmente in traduzione copta in un codice del V secolo (papiro 8502 di Berlino) e parzialmente nell'originale greco in due papiri del III secolo (Rylands III 463 e Ossirinco 3525). Probabilmente si trattava di due testi separati, successivamente riuniti insieme e messi sotto il titolo di Maria Maddalena. Nel Vangelo si narra che dopo l'ascensione di Gesù Maria Maddalena avrebbe raccontato agli apostoli di aver avuto una visione: il Signore le avrebbe descritto il viaggio dell'anima attraverso i cieli e il modo di sottrarsi alle malvagie potenze celesti (tra cui la concupiscenza, l'ignoranza e l’ira) per liberarsi dalla materia e ricongiungersi con il Dio sommo. Quindi è falso quanto afferma Teabing, secondo cui “a questo punto dei vangeli, Gesù sospetta che presto sarà arrestato e crocifisso. Perciò dà istruzioni a Maria Maddalena su come guidare la Chiesa dopo la sua morte”. In primo luogo perché tutto il vangelo di Maria, dalla prima all’ultima parola, racconta eventi che si sono svolti dopo e non prima della morte di Gesù. In secondo luogo, perché non esistono “istruzioni su come guidare la Chiesa”, ma solo una descrizione di un viaggio celeste dell’anima[1]. Inventato di sana pianta è pertanto sia il contenuto della rivelazione, sia il momento in cui essa sarebbe stata affidata a Maria Maddalena.
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[1] Ecco il testo integrale della visione: “... E la bramosia disse: “Non ti ho vista quando sei discesa, ora invece ti vedo mentre sali in alto. Come mai, dunque, tu mi menti dal momento che mi appartieni?”. L’anima rispose: “Io ti ho veduta, mentre tu non mi hai né vista né conosciuta. Io ti facevo da vestito, ma non mi hai riconosciuta”. Ciò detto, ella se ne andò via allegra e gioiosa. Andò poi dalla terza potenza che si chiama ignoranza. Questa domandò all’anima: “Dove Vai? Sei stata presa nella malignità, ma sei stata presa. Non giudicare!”. L’anima disse: “Perché mi giudichi, mentre io non ho giudicato? Io sono stata presa, sebbene io non abbia preso. Non sono stata riconosciuta. Ma io ho riconosciuto che il tutto è stato disciolto, sia (le cose e nature) terrestri sia le celesti”. Dopo che l’anima ebbe lasciato dietro di sé la terza potenza, salì in alto e vide la quarta potenza. Essa aveva sette forme. La prima è l’oscurità; la seconda è la bramosia; la terza è l’ignoranza; la quarta è l’emozione della morte; la quinta è il regno della carne; la sesta è la stolta saggezza della carne; la settima è la sapienza stizzosa. Queste sono le sette potenze dell’ira. Esse domandarono all’anima: “Da dove vieni, assassina degli uomini? Dove sei incamminata, superatrice degli spazi?”. L’anima rispose e disse; “Ciò che mi lega è stato ucciso, ciò che mi circonda è stato messo da parte, la mia bramosia è annientata e la mia ignoranza è morta. In un mondo sono stata sciolta da un mondo, in un typos da un typos superiore, dalla catena dell’oblio, che è passeggera. D’ora in poi io raggiungerò, in silenzio, il riposo del tempo, del momento, dell’eone” (tratto da Luigi Moraldi, I vangeli gnostici, Fabbri editori, 1997, pp. 25-26).
Gesù era femminista?
Continua il romanzo:
Sophie gli rivolse un'occhiata interrogativa. «Intende dire che la Chiesa cristiana doveva essere guidata da una donna?» «Questo era il progetto di Gesù, che fu il primo dei femministi. Voleva che il futuro della sua Chiesa fosse nelle mani di Maria Maddalena.
Ovviamente questa affermazione del tutto anacronistica non è supportata dall’analisi dei testi. Gesù era seguito da un gruppo di donne, ma non vi sono indizi del fatto che abbia mai voluto mettere una donna a capo dei suoi seguaci. Non si può neppure sostenere, come hanno fatto alcuni esponenti di una storia del cristianesimo di stampo radicalmente femminista, che gli scritti gnostici in cui la Maddalena pare essere superiore agli apostoli maschi siano testimonianze di una realtà storica originaria. Nemmeno nelle stesse comunità gnostiche, in verità, la donna poté godere di uno status di superiorità oggettiva. In alcune di esse le donne godevano di una situazione di parità culturale, mentre in altre no. Ciò si spiega facilmente rifacendosi a un principio fondamentale dello gnosticismo, secondo il quale la differenza tra uomo e donna è un male di questo mondo corrotto. Il Vangelo di Filippo attribuisce a Eva la colpa della separazione dei sessi, e talvolta la redenzione della donna passa attraverso la sua trasformazione in uomo. Il Vangelo di Tommaso si conclude con la trasformazione di Maria Maddalena in uomo[1]. Per riprendere le parole di Kurt Rudolph, “l’emancipazione della donna è presente nella gnosi solo a livello di spunti potenziali”, in quanto “alla fin fine si rimane ancorati alla tradizionale visione, tipica dell'antichità, della donna come essere subordinato all'uomo”[2].
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[1] Gesù disse: «Ecco, io la farò ascendere per renderla uomo, affinché anch'essa divenga spirito vivente, uguale a voi uomini. Infatti ogni donna che si farà uomo entrerà nel regno celeste».
[2] La gnosi, Brescia, Paideia, 2000, p. 342.
Il graal e la Maddalena
Il tentativo di descrivere Maria Maddalena come una principessa della tribù di Beniamino e moglie di Gesù serve a dare una pezza d’appoggio alla strampalata teoria del santo graal come sang real, sangue reale, detto della discendenza di Gesù e della sua presunta amante. Sarebbero queste le origini di una dinastia che, passando attraverso i sovrani merovingi, sarebbe giunta sino a noi. La teoria, rivela Leigh Teabing nel romanzo, sarebbe stata descritta da “decine di storici” in numerosi libri, il più noto dei quali è il seguente:
Sulla copertina, molto consumata dalle ripetute consultazioni, c'era scritto: "Il Santo Graal. Il grande successo internazionale" [...] Questo libro ha suscitato un vespaio quando è uscito originariamente nel 1982. A parer mio, i tre autori si concedono qualche salto un po' temerario nella loro analisi, ma la premessa è valida e va detto a loro credito che hanno finalmente portato a conoscenza del grande pubblico l'idea della discendenza di Cristo.» (pp. 296-297).
Si tratta di un libro realmente esistente, opera di Michael Baigent, Richard Leigh ed Henry Lincoln, intitolato The Holy Blood and the Holy Grail[1] e subito tradotto in italiano[2]. Tempo fa Umberto Eco, elencando i libri che “raccontano panzane” sui Templari e sul Graal, indicava questo libro come “il modello di fantastoria più sfacciato”, affermando riguardo agli autori che “la loro malafede è così evidente che il lettore vaccinato può divertirsi come se facesse un gioco di ruolo”[3]. I nomi di questi tre scrittori sono noti agli esperti di fantastoria: essi hanno scritto libri altrettanto insulsi su Qumran, sull’inquisizione e sul nazismo[4].
Dall’opera di costoro Dan Brown ha tratto l’idea secondo cui esisterebbe una società segreta chiamata Priorato di Sion, la quale sarebbe stata a conoscenza dell’esistenza dei discendenti di Cristo. La paternità dell’idea è palese: il nome di Leigh Teabing non è altro che l’accostamento del nome Leigh con l’anagramma di Baigent.
Tutto quanto segue è frutto della fantasia più sfrenata:
«Maria Maddalena era incinta all'epoca della crocifissione. Per proteggere il figlio che doveva ancora nascere, non ebbe altra scelta che lasciare la Terrasanta. Con l'aiuto di Giuseppe di Arimatea, zio di Gesù e suo fedelissimo, Maria Maddalena raggiunse segretamente la Francia, allora nota come Gallia, dove trovò un rifugio sicuro nella comunità ebraica. E fu in Francia che diede alla luce una figlia a cui venne dato il nome di Sarah.» Sophie alzò la testa. «Conoscono anche il nome della figlia?» «Molto di più. La vita di Maddalena e di Sarah è stata accuratamente descritta dai loro protettori ebrei. Ricordi che la figlia di Maddalena apparteneva alla dinastia dei re dei giudei, Davide e Salomone. Per questa ragione, gli ebrei della Francia consideravano Maddalena come una principessa sacra e la onoravano come progenitrice della dinastia reale. Innumerevoli studiosi di quell'epoca hanno fatto la cronaca dei giorni di Maria Maddalena in Francia, compresa la nascita di Sarah e il successivo albero genealogico.» (pp. 298-299).
Giuseppe di Arimatea non era assolutamente zio di Gesù. Era un membro del sinedrio, che dopo la morte di Gesù ne chiese a Pilato il corpo e curò la sua sepoltura assieme a Nicodemo[5].
Per quanto concerne la venuta della Maddalena in Francia, è un’idea che si ispira ad alcune leggende medievali dal valore storico assai dubbio[6]. Il Vangelo apocrifo di Nicodemo, noto in occidente, aveva messo in bocca alla Maddalena ai piedi della croce queste parole: “Io andrò da sola a Roma, da Cesare. Gli racconterò quanto male ha fatto Pilato cedendo agli empi Giudei”[7]. Ma prima del secolo X non vi è traccia alcuna di qualche luogo di culto in occidente dedicato alla Maddalena, anche perché la tradizione più antica riteneva che il corpo della santa fosse stato conservato prima a Efeso, poi a Costantinopoli; proprio a Efeso, si credeva, la Maddalena aveva terminato la sua esistenza terrena, vivendo accanto a Maria Vergine e a Giovanni. Ma a partire dal secolo XI iniziano in occidente i primi segnali di un culto di Maria Maddalena. Intorno al 1050 l’abbazia di Vézelay in Borgogna, prima dedicata alla Vergine Maria e abitata da monache, fu messa sotto il patrocinio della Maddalena e destinata ai benedettini maschi; a partire da quest’epoca si cominciò a parlare di una presenza in quel luogo del corpo della santa, notizia che diede inizio a numerosi pellegrinaggi[8]. Da tutt’altra parte, in Provenza, a partire dal secolo XII si incomincia invece a narrare una leggenda secondo la quale la Maddalena sarebbe vissuta, come eremita, in una grotta del monte della Sainte-Baume[9]. Di qui ne nacque un contrasto tra Vézelay e St-Maximin: entrambe le città rivendicavano il possesso delle autentiche reliquie. Nel 1265-1267 a Vézelay fu organizzata una ostensione e traslazione del presunto corpo di Maria, per ravvivare il culto della santa[10]; dall’altra parte, il 9 dicembre 1279 Carlo di Salerno - servendosi di falsi documenti - affermò di avere rinvenuto nella chiesa di St-Maximin, presso la Sainte-Baume, il vero corpo delal santa[11]. I monaci di Vézelay reagirono producendo altri falsi documenti per dimostrare che il corpo della Maddalena si trovava presso di loro, traslato da Aix-en-Provence molto tempo prima; quelli di St-Maximin invece tentarono di mostrare che a Vézelay non si trovava il corpo di Maria, bensì quello di San Cedonio. La documentazione falsa e gli strafalcioni storici abbondano da entrambe le parti.
La leggenda della permanenza di Maria Maddalena in una grotta francese, è dovuta ad una confusione tra due sante. Era nota infatti la storia di una certa Maria Egiziaca, che dopo un passato di prostituzione avrebbe scelto di vivere come eremita nei pressi di Gerusalemme, secondo un racconto attribuito al patriarca Sofronio di Gerusalemme (VII secolo)[12].
Jusepe de Ribera (lo Spagnoletto), Santa Maria Egiziaca.
La Vita di Sofronio era stata tradotta in latino già tre volte, da Paolo Diacono, da Anastasio il Bibliotecario e da un terzo anonimo; ed è proprio sulla base di un estratto di questa vita di Maria Egiziaca che nel secolo IX si operò la confusione tra le due prostitute pentite. A partire dal secolo XII, pertanto, l’eremo del racconto di Maria Egiziaca fu identificato con la grotta della Maddalena nella Sainte-Baume. Quando Jacopo da Varagine attorno al 1265 scrisse la sua fortunatissima Legenda aurea, ripetendo il racconto della venuta di Maria Maddalena a Marsiglia e ad Aix-en-Provence, le varie tradizioni si erano ormai fuse in un unico racconto che metteva insieme tutto il materiale precedente e lo consegnava ormai immutato alla storia[13].
Questa, in sintesi, la vicenda leggendaria medievale di Maria Maddalena; ma del fatto che la Maddalena abbia avuto da Gesù una figlia di nome Sarah nessuno di questi racconti, nemmeno il più fantasioso, ha mai fatto menzione. L’unica stranezza a cui Jacopo da Varagine fa riferimento, senza però prestarvi fede, è che la Maddalena fosse la sposa promessa dell’apostolo Giovanni, il quale poi avrebbe rifiutato di sposarla perché deciso a seguire Gesù nella castità; ed ella, sdegnata, si sarebbe data alla prostituzione.
Il nome di Sarah è stato preso da un altro personaggio della medesima leggenda medievale; a Saintes-Maries-de-la-Mer si commemora il presunto sbarco di Maria di Giacomo, Maria Salome, Lazzaro, Massimino, Marta, Maria Maddalena ed altri. Le due Marie avrebbero avuto una serva negra di nome Sara, secondo una versione del racconto; oppure, Sara si trovava già sul luogo, e le avrebbe accolte sulle rive della Francia, secondo un’altra versione. Di questa Sara c’è una statua di carnagione nera, nella cripta della chiesa della città.
Statua di Sara Kalì
È considerata dagli zingari loro patrona, nota come Sara Kalì e festeggiata ogni anno il 24 maggio. Nulla di sospetto, per chi abbia la cura di indagare le fonti con un approccio seriamente storico.
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[1] London, Cape, 1982.
[2] Il Santo Graal, Milano, Mondadori, 1982.
[3] La bustina di Minerva, in «L’Espresso» del 23 agosto 2001, p. 166.
[4] Il rumore che il loro volume sui manoscritti di Qumran ha provocato ha lasciato il suo segno: quasi ogni seria introduzione a questi testi ha dedicato qualche pagina alla confutazione delle loro teorie. Otto Betz e R. Riesner, professori di Nuovo Testamento a Tubinga, hanno persino scritto un volume-antidoto alle scempiaggini che circolano sull’argomento Qumran: Gesù, Qumràn e il Vaticano. Chiarimenti, Roma, Editrice Vaticana, 1995. Qualche esempio anche in rete.
[5] Matteo 27,57-60; Marco 15,43-46; Luca 23,50-53; Giovanni 19,38-41.
[6] Gli studi più importanti su questo argomento sono opera di Victor Saxer. Per il culto in oriente, Les saintes Marie Madeleine et Marie de Béthanie dans la tradition liturgique et homilétique orientale, in «Revue des Sciences religieuses» XXXII (1958), pp. 1-37 ; per l’occidente, Le culte de Marie Madeleine en Occident, des origines à la fin du moyen âge, Paris, Clavreuil, 1959. Un riassunto in Bibliotheca Sanctorum, volume VIII (1967), coll. 1078-1107. La monografia di Lilia Sebastiani, Tra/Sfigurazione, Brescia, Queriniana, 1992, segue lo svolgersi di queste leggende dall’antichità sino ai giorni nostri.
[7] Pars I, recensio graeca B, XI,5. Traduzione di Mario Erbetta.
[8] Si può visitare il sito della basilica.
[9] Si può visitare il sito del santuario.
[10] I documenti di questo episodio sono stati raccolti da Victor Saxer, Le dossier vézelien de Marie Madeleine. Invention et translation des reliques en 1265-1267, Bruxelles, Société des Bollandistes, 1975.
[11] Si trattava probabilmente dei resti di una religiosa del secolo VIII, chiamata suor Sainte Madeleine.
[12] Su questa santa si veda l’articolo della Bibliotheca Sanctorum, volume VIII (1967), coll. 981-994, riprodotto parzialmente in internet. Una (vecchia) versione italiana del racconto di Sofronio si può trovare in linea.
[13] Vi sono numerose edizioni e traduzioni della Legenda. La più recente ed affidabile edizione è: Iacopo da Varazze, Legenda aurea; edizione critica a cura di Giovanni Paolo Maggioni, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 1998.
Il libro "Dietro il Codice da Vinci"
Il presente contributo di Andrea Nicolotti su Maria Maddalena é stato pubblicato nel libro "Dietro il Codice da Vinci - Antologia Critica", a cura di Mariano Tomatis, della collana "I quaderni del CICAP", 2006.
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Sommario e anteprima di ogni capitolo del libro:
» Presentazione (Stefano Bagnasco e Andrea Ferrero)
» Maria Maddalena e il Codice da Vinci (Andrea Nicolotti)
» Le "cabale dei devoti" (Mario Iannaccone)
» De-codificare Leonardo (Diego Cuoghi)
» Una linea della Rosa... fantasma (Alessandro Lorenzoni)
» Saunière e Gélis: due nomi per un omicidio (Alessandro Lorenzoni e Mariano Tomatis)
» Rennes-le-Chateau: i documenti segreti (Mariano Tomatis)
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mercoledì 9 gennaio 2008
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